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Zaini da 20 euro, fabbricati in Cina, rivenduti a 350 euro in negozi di lusso: l’impresa Alviero Martini posta sotto amministrazione controllata

L’azienda Alviero Martini è stata messa sotto amministrazione giudiziaria dopo indagini che indicano la possibile facilitazione dello sfruttamento lavorativo nella sua catena di produzione.

Misura cautelare contro celebre marchio di moda

Un decisivo passo è stato compiuto dalle forze dell’ordine nella mattinata del 17 gennaio, con il Nucleo Ispettorato del Lavoro dei carabinieri che ha messo in atto un decreto di amministrazione giudiziaria per l’azienda Alviero Martini.

L’azienda è stata oggetto di indagini per non aver impedito o contenuto adeguatamente lo sfruttamento lavorativo all’interno delle sue operazioni. Alviero Martini è stata criticata per non aver condotto ispezioni sufficienti per garantire condizioni lavorative eque nelle aziende appaltatrici.

Insufficienze nel monitoraggio dei processi produttivi

Il pubblico ministero ha sottolineato gravi lacune nel controllo della catena produttiva di Alviero Martini.

La società, stando a quanto emerso dalle indagini, avrebbe delegato la produzione a ditte esterne senza eseguire controlli efficaci sulle condizioni di lavoro, agevolando così pratiche di sfruttamento.

Nelle parole del pubblico ministero: “quel che emerge dall’attività investigativa è che nella Alviero Martini spa vi è una cultura di impresa gravemente deficitaria sotto il profilo del controllo, anche minimo, della filiera produttiva.

Della quale la società si avvale. Cultura radicata all’interno della struttura della persona giuridica, che ha di fatto favorito la perpetuazione degli illeciti”.

Ciclo di produzione e vendita sotto accusa

L’inchiesta ha rivelato dettagli preoccupanti sul processo di produzione e vendita delle borse di Alviero Martini.

Secondo gli investigatori, le borse venivano fabbricate in Cina per un costo di circa 20 euro, per poi essere rivendute a 30 euro alle ditte appaltatrici, che a loro volta le fornivano al marchio per 50 euro.

Questi prodotti finivano poi in vendita nelle boutique a un prezzo di circa 350 euro.

Il pubblico ministero ha affermato: “Nel corso delle indagini si è disvelata una prassi illecita così radicata e collaudata, da poter essere considerata inserita in una più ampia politica d’impresa diretta all’aumento del business. Le condotte investigate non paiono frutto di iniziative estemporanee ed isolate di singoli, ma di una illecita politica di impresa”.